| 
    | 
 
  
Comitato Nazionale per la 
Bioetica 
PRESIDENZA DEL 
CONSIGLIO DEI MINISTRI 
PRINCIPIO DI PRECAUZIONE 
profili 
bioetici, filosofici, giuridici 
18 giugno 2004 
  
apri il documento 
completo del Comitato Nazionale per la Bioetica 
 
Premessa 
Negli ultimi decenni come è noto, diversi episodi hanno suscitato profonde 
preoccupazioni perla protezione dell’ambiente e dell’habitat umano, della 
sicurezza e della salute dell’uomo. Si tratta,solo per citare alcuni esempi, di 
grandi catastrofi ecologiche (naufragio delle petroliere Amoco Cadiz, Prestige), 
di emissioni nell’ambiente di prodotti chimici o comunque tossici (Bophal 1984,Seveso 
1976, Messico 1988), di perdite di materiale radioattivo (Three Mile Island, 
Chermobyl), di esplosioni di impianti industriali (Toulouse 2001), di 
alterazioni della catena alimentare, anche dovute ad incidente, (secondo 
l’immaginifico linguaggio dei “media”: mucca pazza), ecc.. 
Ciò ha suscitato: 
1) la crescente attenzione dell’opinione pubblica sulle potenziali implicazioni 
(anche di lungo periodo) dell’attuale modello di sviluppo tecnologico ed 
industriale; 
2) un clima di progressiva sfiducia nei riguardi dei meccanismi pubblici di 
controllo;  
3) la necessità per i Governi di individuare nuovi principi (anche di ordine 
procedurale) in grado di facilitare, da una parte, la valutazione ed il 
contenimento dei rischi e, dall’altra, la gestione di questi ultimi non solo ai 
fini della loro accettabilità sociale, ma anche per consentire uno sviluppo 
realmente sostenibile. Occorre precisare che la gravità degli episodi sopra 
ricordati, taluni dei quali ripetutisi con diversa intensità nel corso degli 
anni, talvolta ha dato luogo ad emergenze e ad eventi catastrofici,ma altre 
volte è emersa solo molto tempo dopo l’estrinsecazione del rischio collegato 
all’evento in questione, dando luogo a conseguenze sanitarie o ecologiche 
“ritardate” il cui nesso di causalità è stato accertato. Ed è significativo 
rilevare che la ricerca epidemiologica attuale valorizza sempre più il fatto che 
livelli anche contenuti di rischio, ed agenti globalmente definiti tossici, 
possano operare con un effetto c.d. di accumulo, vuoi combinandosi 
simultaneamente con altri fattori di rischio (anche di tipo genetico), vuoi 
operando per tempi molto prolungati, così da costituire, anche a grande distanza 
di tempo dall’esposizione, manifestazione di patologie per l’uomo ovvero effetti 
nocivi e danni per l’ambiente. 
Emerge in questo modo una diversa dimensione del rischio, di natura più subdola 
e di tipo non solo qualitativo T (“tossico”), ma anche quantitativo, che 
ribadisce la fondamentale esigenza di far precedere lo sviluppo industriale da 
una fase più articolata di ricerca, in cui, come l’esperienza dimostra, è più 
facile conseguire i margini di sicurezza necessari per verificare le ipotesi 
scientifiche iniziali. Tali sollecitazioni hanno prodotto due ordini di 
conseguenze: da un lato, la richiesta dei cittadini di essere previamente 
informati e di partecipare alle decisioni che riguardano tanto lo sviluppo 
tecnico-scientifico, quanto l’insediamento industriale. Meritano attenzione 
anche le preoccupazioni dell’opinione pubblica relative alla possibilità di 
dispersione di prodotti tossici o radioattivi dai depositi all’uopo previsti (cfr. 
il caso recente di Scansano ionico); dall’altra, una maggiore consapevolezza dei 
governi di prendere in considerazione comportamenti e decisioni orientati alla 
prevenzione, ove possibile, o al “nuovo” criterio di precauzione, qualora 
esistano significativi margini di incertezza sul rapporto tra rischio e 
conseguenze dannose di determinate attività (o procedimenti o prodotti) per 
l’uomo e per l’ambiente. Così, accanto ad approcci ispirati alla c.d. 
tolleranza- zero si è affermata l’esigenza di realizzare una più attenta 
valutazione della proporzionalità tra rischi e benefici in grado di orientare lo 
sviluppo tecnico-scientifico, pure necessario al progresso materiale e sociale 
dell’umanità, secondo un principio di mediazione tra esigenze e sensibilità 
diverse, proprie alla scienza, all’industria ed alla società civile. 
In questo senso può 
dirsi che il principale obiettivo del “principio di precauzione” è quello di 
obbligare il decisore a esplicitare, quantificandoli, i suoi obiettivi e a 
informare nel modo più obiettivo possibile. Nel quadro della decisione politica 
questo pone il problema dell’esercizio della democrazia, perché si tratta di una 
modalità di gestione del rischio che è anche un modo di ripensare l’etica 
pubblica, l’economia, la protezione sociale. 
Per questi motivi, è aumentata anche la richiesta di “trasparenza”, prospettata 
con forza alle pubbliche amministrazioni da cittadini consapevoli d’essere 
“consumatori” spesso ignari di processi produttivi anche indispensabili, come 
quelli alimentari. 
La disciplina dell’etichettatura – introdotta dalla Comunità Europea -, 
corrisponde a queste esigenze e documenta l’applicazione di un ”principio di 
rispetto delle scelte informate da parte del consumatore”, la cui introduzione e 
diffusione nelle regole del commercio è sempre di più favorita anche dal potere 
politico nazionale. Un esempio significativo è costituito dalla recente 
normativa comunitaria concernente gli alimenti e mangimi geneticamente 
modificati. Il cambiamento relativo al trattamento dei rischi in campo 
ambientale e sanitario è stato oggetto di una puntuale valutazione da parte 
delle Comunità europea che, a seguito della Comunicazione sul principio di 
precauzione (v. cap. III), ha emanato numerosi atti volti a sottolineare la 
necessità di una diffusa e costante partecipazione dei cittadini comunitari alla 
gestione dei programmi concernenti le applicazioni delle attività di ricerca che 
abbiano ricadute industriali. La 
riflessione comunitaria, se è volta a responsabilizzare gli organi di governo, 
deve far sì che la popolazione non sia considerata come un soggetto passivo i 
cui interessi debbano essere presi in carico, in maniera paternalista, dai soli 
esperti o dagli scienziati.  
Si può quindi concludere affermando che il principio di precauzione, come 
individuato in ambito comunitario, ha evidenziato nuove modalità di interazione 
tra cittadini, l’expertise scientifico e i poteri pubblici mediante il continuo 
e costante adattamento dei processi decisionali, rafforzando altresì una 
partecipazione democratica alla formazione delle norme.
La distinzione tra scienza pura e 
applicata deve risaltare sempre più netta nell’ambito della gestione politica 
con riferimento al principio di precauzione: la scienza applicata non può 
prescindere dalla valutazione dei rischi collegati e conseguenti alla 
sperimentazione in larga scala nell’ambiente. In quest’ottica si rende doveroso 
per i governi assumere comportamenti responsabili orientati alla prevenzione e 
talvolta all’applicazione del principio di precauzione, in condizioni di 
incertezza scientifica.  
Già nel Libro Bianco sulla Governance europea (European Commission, 2001) la 
Commissione ha lanciato un programma volto a realizzare la riforma della 
governante europea definita “il modo nel quale l’Unione esercita i poteri che le 
hanno conferito i suoi cittadini”. 
Nel documento vengono designati le norme, i processi ed i comportamenti sul modo 
nel quale le competenze sono esercitate a livello europeo e vengono identificati 
come “principi di buona governance”, quelli di apertura, partecipazione, 
responsabilità, principi che devono essere applicati a tutti i livelli di 
governo sia esso europeo, nazionale, regionale o locale. Anche nel VI Programma 
Quadro di Ricerca e Sviluppo della Commissione (2002-2006) viene incoraggiata la 
partecipazione pubblica in materia ambientale e viene sottolineata la difficoltà 
che, in assenza di un impegno generalizzato o continuo della società nel suo 
complesso, sia possibile raggiungere risultati. La settima Area Prioritaria del 
Programma, è espressamente dedicata a “Cittadini e Governance nella società 
della conoscenza”. 
Le nozioni di valutazione scientifica e 
di incertezza scientifica delle attività umane soprattutto a carattere 
industriale sono state 
profondamente discusse in questi ultimi anni sia nel continente americano 
che europeo, a livello di società e di 
potere politico. Anche la riflessione effettuata in ambito europeo sulla 
applicazione della scienza in condizione di incertezza ha messo in luce una 
duplice esigenza: la prima riguarda la 
democratizzazione dell’expertise scientifico (che deve mostrarsi sempre più 
aperto, in grado di includere le opinioni scientifiche minoritarie o 
dissenzienti); la seconda concerne, invece, la necessità di una corretta e 
trasparente informazione volta ad includere, se possibile, la partecipazione 
della società civile alle decisioni che la concernono. Gli scienziati e gli 
esperti non dovrebbero essere qualificati i soli legittimati ad assumere 
decisioni etiche che sono alla base delle trasformazioni civili e sociali e che 
possano coinvolgere rischi in grado di ledere i diritti fondamentali dell’uomo 
quali il diritto alla salute ed all’ambiente salubre. Già il Consiglio 
Europeo di Nizza nel dicembre 2000 ha affermato la necessità che l’autorità 
pubblica si faccia carico della organizzazione e valutazione del rischio 
garantendo pluralità di prospettive, indipendenza e trasparenza: inoltre devono 
essere riportati nei documenti di“expertise” i pareri minoritari, ove essi 
sottolineano la mancanza di adeguata ricerca scientifica (pp. 9 e 10) in quanto 
è necessario ... “che la società civile debba essere coinvolta e che occorra 
prestare attenzione alla consultazione di tutte le parti interessate, in una 
fase quanto più precoce (Consiglio Europeo 2000 p.n.15.)”. 
Di particolare interesse il Piano di Azione sulla Scienza e Società (European 
Commission2001) dove si sottolineano le forti interazioni fra scienza, 
innovazione tecnologica e cambiamento sociale e dove si indicano gli obbiettivi 
e le azioni per la promozione della cultura scientifica europea e per lo 
sviluppo di una ricerca più vicina ai cittadini. Il documento, parlando di una 
scienza responsabile alla base del processo politico sottolinea che “la scienza è 
spesso percepita come qualcosa che si occupa di certezze e fatti incontestabili; 
in realtà la situazione è ben diversa, in particolare nei settori di punta della 
ricerca “(Azione 35,punto 3.3). Ciò renderebbe necessario un approccio più 
aperto, sistematico a livello nazionale ed europeo, per individuare le competenze 
più adeguate, al momento giusto aprendo ai processi di consultazione al pubblico 
e alle parti interessate, fornendo loro occasioni e gli strumenti che consentano 
di contribuire al dibattito e di contestare gli esperti o i loro pareri. 
Peraltro, desta una certa meraviglia il fatto che i governi continuano a 
promettere “sicurezze”, quando l’universo simbolico della società contemporanea è 
sempre più impregnato di “rischi”e “incertezze”. 
Per il potere decisionale, alla 
luce di questi orientamenti, ma di 
fronte al paradigma dello“sviluppo sostenibile”, si prospetta la necessità 
da un lato di semplificare e razionalizzare le procedure – dall’altro
di improntare le autorizzazioni a 
maggiore prudenza ed esercitare di fatto maggiore assistenza e controllo nella 
gestione delle attività umane pericolose per l’ambiente e la salute, ricorrendo 
agli strumenti giuridici ormai differenziati oggi disponibili. Fra questi, si 
iscrive anche “il principio di precauzione”, il cui uso dovrebbe essere 
riservato ai governi (in conformità con la normativa Comunitaria e – per 
l’Italia – a quanto è indicato dall’art. 117 Costituzione riformato), trovando 
peraltro una più esatta giuridicizzazione. 
In generale, il principio di precauzione è stato accolto con favore 
dall’opinione pubblica, ed è stato chiamato in causa mano a mano che nuovi 
episodi di rischio non sufficientemente prevenuti sono comparsi nelle attività 
umane. Anche l’informazione e l’approfondimento dottrinale del suo significato 
hanno fatto progressi. 
L’attenzione di alcune riviste di largo prestigio è stata in parecchie occasioni 
rivolta ai problemi del rischio, della prevenzione e della precauzione in 
diversi Paesi europei, e numerose sono ormai le elaborazioni dottrinali sia 
riguardanti il versante dell’“esperto” e della riflessione scientifica sia 
inerenti il ruolo dell’opinione pubblica ed i compiti che questa affida ai 
“decisori” politici.  
Va crescendo sia nella cultura che nell’opinione pubblica la consapevolezza, che 
non è più sufficiente un generico appello alla “responsabilità”, divenuto anche 
questo termine denso di ambiguità e di riserve mentali ma occorrono impegni ed 
azioni precise, sulla base di principi più chiari e dirimenti.
Gran parte della letteratura più recente 
riguardante l’applicazione del “principio di precauzione” fa menzione non 
solamente degli ormai “classici” rischi degli impianti nucleari e d industriali, 
ma soprattutto di quelle numerose forme 
di interessamento dell’alimentazione stessa (si faccia il caso degli alimenti 
OGM e degli inquinanti dell’agricoltura industrializzata) dei possibili rischi 
sulla biologia dei viventi provocati da altri inquinamenti (si consideri ad es. 
l’energia elettromagnetica ecc..) o di altri ormai apprezzati rischi ambientali 
per la salute umana, che – pur in presenza di opinioni variegate – richiedono 
comunque una più decisa valutazione scientifica. A rinforzo di questa 
favorevole accoglienza da parte dell’opinione pubblica, non è privo di 
significato il fatto che la Corte di giustizia delle Comunità europee, con 
sentenza 21 marzo2000, abbia interpretato la direttiva del Consiglio n. 90/220 
del 23 aprile 1990, relativa all’immissione deliberata nell’ambiente di OGM, nel 
senso di consentire agli Stati di negare il proprio consenso all’immissione in 
parola a condizione che sussistano dati scientifici in grado di provare che il 
prodotto oggetto della notifica possa essere pericoloso per l’ambiente e la 
salute umana. In ogni caso, lo Stato in questione deve informare senza indugio 
la Commissione e gli altri Stati membri affinché sia esperita la procedura 
comunitaria disciplinata dalla direttiva n. 90/22042.7. Alcuni ricercatori hanno 
posto fortemente in dubbio il “valore giuridico” del “principio di precauzione”, 
almeno sotto il profilo del diritto positivo, pur non negando il suo valore di 
“orientamento” soprattutto in quelle fasi in cui l’autorità amministrativa (a 
vari livelli per alcuni, solo “centralmente” e per le decisioni nazionali, per 
altri) deve applicare norme positive e regolamentari. 
Occorre certamente guardarsi da ogni 
immotivato ricorso al principio di precauzione, come zelanti sostenitori 
vorrebbero imporre ad ogni piè sospinto. Occorre invece fornire 
un’interpretazione ragionevole di tale principio, che dovrà essere rigorosamente 
applicato solo allorché uno specifico rischio sia identificato (benché non 
ancora esattamente stimato) dalla comunità degli esperti. E’ pur vero che 
spetta alla Comunità dei cittadini – nella composizione eterogenea di interessi 
diversi e talora contrapposti che la caratterizza - stabilire quale grado di 
sicurezza intende godere anche a prezzo di rinunzie nello sviluppo economico, ed 
è altrettanto vero che – anche nella Comunità Europea – le considerazioni in 
merito alla tutela della salute hanno la precedenza su quelle economiche e 
commerciali. Tuttavia, nella stessa Comunità Europea vige l’applicazione del 
principio generale di proporzionalità, che deve armonizzarsi con quello di 
precauzione. Cfr. la sentenza Greenpeace, in Rivista giuridica dell’ambiente, 
2000, p. 457 e ss.43GROS M.; DEMARBE D – “la controverse du principe de 
precaution “ – Revue du Droit public 118/3, 821-845,332002  
Guardando al futuro, molto c’è da fare a livello di informazione e formazione 
delle coscienze (consapevolezza e motivazioni) sugli obiettivi e le metodologie 
per assicurare tutela dell’ambiente e della salute dei viventi, nel quadro di 
uno sviluppo che sia realmente sostenibile. Fra gli strumenti di orientamento (e 
non solo “difensivi”) va iscritto anche il “principio di precauzione”. Siamo, in 
ogni caso, in un momento di transizione circa la portata dell’efficacia 
giuridica ditale strumento. Va riconosciuto che il principio di precauzione sta 
esercitando una profonda influenza sulla legislazione dei rischi producendo – in 
taluni settori - due legislazioni con obiettivi distinti e talvolta 
contraddittori. L’obiettivo della prima è quello di ridurre l’esposizione a 
vecchi rischi, dell’altra è quello di impedire dei cambi di tecnologia che 
potrebbero introdurre nuovi rischi nelle nostre vite, senza eliminarne del tutto 
i precedenti, pur riducendone l’importanza. In ogni caso, il “principio di 
precauzione” va applicato con saggezza, senza dimenticare che dovrebbe 
rappresentare una norma a tempo, sospensiva, in attesa di chiarificazione 
scientifica. L’obiettivo da perseguire, infatti, è quello di ripristinare la 
fiducia tra responsabili politici, amministratori, tecnici e cittadini, nella 
consapevolezza che la fiducia costituisce una risorsa sostanziale fondamentale 
delle società complesse. 
Concludendo questa analisi ci sembra di poter affermare che il lavoro da 
svolgere per un’ancora più efficace tutela della salute e dell’ambiente, 
nonostante i favorevoli avvii, sia notevole, e possa riassumersi nei seguenti 
punti: 
a) Si constata come la società attuale sta sviluppando una nuova sensibilità nei 
confronti del rischio, sulle modalità con le quali la ricerca 
tecnico-scientifica lo percepisce, come lo affronta quando non è possibile 
quantificarlo, come deve (o può) rispondere alle eventuali minacce (reali o 
potenziali) in situazione di urgenza. 
b) Deve aumentare la consapevolezza che la valutazione del rischio si accompagna 
ad un grado variabile di incertezza scientifica. Il rischio zero non esiste. 
Solo uno studio sistematico degli effetti biologici conseguenti all’esposizione 
a determinati agenti, a manipolazioni, a trattamenti (compresi quelli 
medico-chirurgici in continua evoluzione, gravati implicitamente da vari tipi di 
rischio spesso non chiaramente prevedibili), effettuati con metodo scientifico 
rigoroso, può ridurre significativamente il margine di imprevedibilità del 
rischio. 
c) Nella messa a punto di più accurati metodi di controllo, industrie, 
università, istituti di ricerca pubblici e privati devono collaborare per la 
definizione di standard elevati e per l’elaborazione di criteri e linee guida 
per l’interpretazione dei dati. Tale collaborazione alimentata dal dialogo e dal 
dibattito scientifico è una condizione necessaria per far fronte alle 
preoccupazioni che si creano con lo sviluppo delle attività antropiche 
sull’ambiente e delle biotecnologie. 
d) A tal fine è essenziale disporre di criteri tecnicamente definiti di 
controllo, che devono essere specifici per il problema su cui si interviene. 
e) Compito del ricercatore è quello di determinare l’efficacia, l’affidabilità, 
l’efficienza e l’ampiezza dell’intervallo di variabilità entro i quali si 
possono verificare effetti temuti ai fini del controllo e della sicurezza. 
f) Dovrebbero essere attivati programmi di ricerca specifici volti alla 
valutazione degli aspetti controversi per accertare la linearità del 
procedimento precauzionale adottato. 
g) Ogni decisione delle autorità 
pubbliche riguardante la tematica della nostra indagine, dovrebbe essere 
preceduta da una valutazione esperta condotta anche in contraddittorio che non 
trascuri di prendere in considerazione le opinioni minoritarie. 
h) La definizione del rischio 
accettabile non è di stretta competenza dello scienziato ma dipende da un 
giudizio congiunto di esperti in discipline giuridiche, etico-morali, economiche 
e politiche, formulato in un dialogo aperto e trasparente con l’opinione 
pubblica, particolarmente quella direttamente interessata dal rischio ambientale 
circostante (ad es. insediamenti industriali pericolosi, ecc.). 
i) La normativa nazionale ed europea in materia di procedure per la valutazione 
del rischio associato ad interventi su organismi viventi ed alla diffusione di 
prodotti destinati al consumo è sempre più ampia ed articolata. Oggetto di 
particolare attenzione sono – oggi – gli organismi geneticamente modificati ed i 
loro derivati, ma l’attenzione deve essere rivolta ad altre significative fonti 
di rischio per la salute umana. 
j) In linea generale, la valutazione dei rischi connessi a nuove tecnologie 
(condotta pervia comparativa) non dovrebbe rallentare e proibire la introduzione 
nel mercato di prodotti nuovi che possano prospettare il superamento di vecchi 
rischi. 
k) Il “principio di precauzione”, la cui valenza etico-giuridica assume rinforzo 
da chiare giustificazioni scientifiche può essere strumento di grande utilità in 
questa riflessione pienamente consapevole della società contemporanea, ma deve 
essere usato “propriamente” – in attesa di fare chiarezza scientifica 
sull’argomento controverso – e non come mero strumento corrente della Governance 
sociale. Inoltre, va chiarito il “peso specifico” da attribuire a tale principio 
nell’ambito del diritto positivo, non essendo prevedibile – almeno nel sistema 
continentale – l’abbandono della regolamentazione fondata su parametri di 
standards autorizzati. 
l) L’applicazione corretta del principio 
di precauzione può stimolare la ricerca scientifica anche allo scopo di rendere 
più sicure le applicazioni industriali. 
 
   
Consulta anche: 
 
  
COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE EUROPEA sul principio di precauzione 
 
  
  
   |