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IGNORANZA o collusione? " ...e' autorizzato l'incenerimento delle ecoballe di tal quale..." GRAZIE PROFESSOR PRODI ! 

Impatto sanitario dell’incenerimento di RSU

Federico Balestreri Referente ISDE Italia

Introduzione

Nessun impianto tecnologico può vantare una metamorfosi della sua denominazione nel corso questi ultimi anni, come gli inceneritori di rifiuti: inceneritori, termodistruttori, termoutilizzatori, termovalorizzatori. La denominazione stabilita dalla normativa nazionale ed europea è: impianti di incenerimento di rifiuti con recupero energetico. L’origine di questa evoluzione semantica risiede in due ragioni fondamentali: una di ordine economico-ambientale ed una di ordine psicocologico-comunicativo, che si integrano vicendevolmente. I semplici forni in cui bruciare rifiuti, in cui il calore prodotto veniva disperso, sono stati modificati per recuperare energia sotto forma di calore o di elettricità. La normativa in vigore prevede infatti, che anche i vecchi inceneritori debbano dotarsi di sistemi per il recupero energetico. L’opposizione dell’opinione pubblica alla costruzione di questi impianti, in ragione delle preoccupazioni riguardo alle ricadute sanitarie ed ambientali, ha suggerito ai detentori della tecnologia di modificare la loro denominazione in modo da renderla più “accettabile”. Nell' acceso dibattito sullo smaltimento dei rifiuti gli inceneritori, comunque li si voglia chiamare, sono stati sempre proposti come parte di un “sistema integrato” che assieme alla raccolta differenziata, al riciclaggio, al compostaggio ed alla discarica dovrebbe risolvere il problema, nel rispetto dell’ambiente e della salute. Le direttive comunitarie prevedono la possibilità di un recupero energetico (incenerimento) della sola parte residua non altrimenti riciclabile, e solo se sono state rispettate le priorità (anche quantitative) della riduzione del rifiuto e della raccolta differenziata (Direttiva 2001/77/CEE). Nel nostro paese tuttavia, proliferano i progetti di queste tipologie di impianti, proposti a livello provinciale quasi ubiquitariamente, mentre latitano, tranne in realtà sporadiche, gli altri capisaldi del cosiddetto “sistema integrato”, in aperto contrasto con la normativa precedentemente citata. L’ISDE ritiene doveroso fornire una corretta informazione scientifica “super partes”, che possa essere strumento utile ai decision-maker in modo da acquisire la consapevolezza del problema, e ai medici di famiglia per dare risposte adeguate ai quesiti posti loro dai pazienti.

Inquadramento del problema

Non è scopo di questo lavoro discutere le caratteristiche tecniche degli inceneritori, che sono ben note a chi si occupa di salute e rifiuti. Riassumiamo solo brevemente le tipologie degli impianti perché, al di là della propaganda di parte, non vi sono nella gestione dei cosiddetti “inceneritori di ultima generazione” radicali innovazioni tecnologiche, riguardo all’abbattimento delle emissioni in atmosfera, ma soprattutto riguardo ai controlli al camino e sull’ambiente circostante. Nonostante siano disponibili sul mercato campionatori programmabili, la quasi totalità degli impianti nel nostro paese ne è sprovvista, e la normativa vigente sui controlli dei microinquinanti (massimo un controllo annuo) è del tutto inadeguata alla raccolta di dati attendibili. I forni a letto fluido ed a tamburo rotante (questi ultimi attualmente in calo di popolarità) sono utilizzati per frazioni di rifiuti ad alto potere calorifico, come i fanghi di depurazione dei reflui civili, per rifiuti industriali, ospedalieri e per varie tipologie di rifiuti (solidi e liquidi). Hanno maggiori costi di investimento e di gestione. Gli inceneritori a griglia (fissa o mobile) possono invece essere alimentati con materiali che hanno un potere calorifico non troppo elevato, come i rifiuti solidi urbani (RSU) tal quali (al massimo 2300 kcal/kg). Questa tecnologia pur essendo la più datata, grazie ai relativamente bassi costi di costruzione e manutenzione, resta la preferita in assoluto. La tipologia del forno a griglia, bruciando il rifiuto tal quale, incoraggia però la produzione dei rifiuti per garantire l’alimentazione dell’impianto, e mortifica di conseguenza la raccolta differenziata.
Le tecnologie per il recupero di energia da rifiuti, possono essere classificate sulla base della sequenza di operazioni compiute per generare energia utile. Il “recupero diretto", dove il rifiuto é introdotto tal quale in un inceneritore per generare elettricità e/o calore. Il “recupero indiretto", dove il rifiuto é prima trattato (meccanicamente e/o biologicamente) per generare combustibile derivato dai rifiuti (CDR). Successivamente il CDR può essere utilizzato per alimentare impianti: "dedicati", ovvero progettati per operare esclusivamente con rifiuti (inceneritori), oppure "non dedicati", dove il CDR é usato insieme ad altri combustibili fossili in co-combustione (cementifici). La produzione di CDR tuttavia, aumenta i costi di gestione dell’80% e quindi dal punto di vista economico sono più convenienti inceneritori di grossa taglia che brucino rifiuti tal quali (18). E’ questa in sostanza la ragione principale per cui, dove è stato costruito un inceneritore, la raccolta differenziata tende ad essere limitata a livelli molto bassi. La ditta committente deve ammortizzare gli ingenti costi di costruzione (160 milioni di euro ipotizzati per il progetto dell’inceneritore di Parma) e gli elevati costi di gestione dell’impianto. L’incenerimento è la tecnica di smaltimento con i più alti costi di costruzione e di esercizio degli impianti, con il minor bisogno di manodopera, con il più elevato impatto ambientale, con il maggior spreco di materiali riutilizzabili. Il percorso della riduzione, del riuso, della raccolta differenziata e del riciclaggio, invece, oltre a mettere in moto la coscienza civile dei cittadini, presuppone investimenti nella piccola impresa ed occupazionali. Una volta costruiti, gli impianti vanno alimentati e sarebbe economicamente svantaggioso sottrarre ai rifiuti, che sono il loro combustibile, le frazioni che hanno il maggior potere calorifico: carta, plastica e legn, materiali tutti riciclabili. Carte e cartoni rappresentano il 26,5% in peso dei RSU, ma corrispondono al 55% del potere calorifico. La plastica rappresenta l’11,1% in peso, ma il 37,7% del potere calorifico. Pertanto l’inceneritore non si può considerare un impianto integrato con la raccolta differenziata, se non per il trattamento delle frazioni residue non riciclabili. I fautori dell’incenerimento con recupero energetico danno per scontato in qualsiasi tipo di analisi, un costante aumento della produzione di RSU. Senza una riduzione della produzione invece, nessuna tecnologia sarà mai in grado di risolvere il problema rifiuti in modo indolore. Anche in un recente studio sul recupero di energia in Lombardia, condotto dalla Regione, la produzione di rifiuti urbani pro capite annua viene stimata nel quinquennio 2006-2011 crescente da 502 a 617 Kg/ab/anno (69). Nello stesso lavoro, in cui vengono calcolate le emissioni di CO2, CH4, e NOx risparmiate dal recupero energetico di rifiuti rispetto alle tradizionali centrali termoelettriche, viene ipotizzato come condizione ottimale (dal punto di vista economico e ambientale) uno scenario in cui si arrivi al 50% di raccolta differenziata e al 50% di recupero energetico. E’ evidente come a livello di governo regionale, non vi sia alcuna volontà né di attuare politiche di riduzione della produzione né di incentivare oltre un certo limite la raccolta differenziata. Dal punto di vista ambientale poi è facile osservare come il recupero energetico dai rifiuti, non comporti alcun risparmio di gas serra dal momento che le emissioni non vanno a sostituirsi ma a sommarsi a quelle delle centrali termoelettriche esistenti. Riguardo al potere calorifico degli RSU, è bene ricordare che tutti gli impianti sono dotati di una alimentazione a metano che serve per mantenere la temperatura del forno al livello corretto, nelle fasi di arresto e ripresa. Non è chiaro se questa alimentazione sia necessaria solo in queste fasi o se sia indispensabile anche nella combustione per il variabile (al variare della composizione) e talvolta insufficiente potere calorifico degli RSU. Molto discutibile infine, l’efficienza di conversione valutata del 10% per gli impianti costruiti prima del 1997 e del 22% per gli impianti di nuova generazione dotati di sezioni di recupero (57), se confrontata con quella di altre fonti tradizionali di produzione di energia
( tab 1)

Tab 1: Confronto della resa di conversione energetica fra impianti tradizionali

Impianto                                  Potenza elettrica MW           Rendimento elettrico medio

Impianto a olio combustibile                 600                                            0,38
Impianto a olio combustibile                 600                                            0,36
Impianto a gas naturale                       600                                            0,43
Ciclo combinato a gas naturale              600                                            0,50
Cogenerazione a ciclo combinato a contropressione 32                               0,72
Cogenerazione a ciclo combinato a contropressione 15                               0,70
Modificata da Ravera A., La VIA delle centrali termoelettriche: alcuni aspetti di criticità

L’inceneritore di Trezzo d’Adda (MI) definito come impianto dotato di “best available tecnology” (BAT), cioè della miglior tecnologia attualmente disponibile sia dal punto vista emissivo che del recupero energetico, bruciando 500ton di RSU/die, recupera solamente una potenza elettrica netta di 18MW (35).

I Distruttori Ormonali ( Endocrine Disruptors EDCs)

Dal 1995, sia l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che il Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), hanno focalizzato l’attenzione su un gruppo d’inquinanti organici persistenti e bioaccumulabili, definiti come Persistent Organic Pollutants (POPs), diffusi ubiquitariamente, che si concentrano nella catena alimentare e si accumulano nel tessuto adiposo animale ed umano. I composti in questione erano: Aldrin, Chlordane, DDT, Dieldrine, Dioxin, Endrin, Furans, Heptachlor, Hexachlorobenzene, Mirex, PCBs, Toxaphene. Ritenuti talmente pericolosi per l’ambiente e la salute da far promuovere un gruppo di studio intergovernativo che si proponeva in tempi medi, l’obiettivo di eliminare o quantomeno ridurre il più possibile la loro presenza ambientale. Nel maggio 1997, l’OMS, ha adottato una risoluzione sui POPs per promovere e coordinare le ricerche sui potenziali effetti sanitari, concretizzata nella dichiarazione di Stoccolma del 22 maggio 2001. Si sono moltiplicati, nella letteratura mondiale gli studi che suggeriscono come un gran numero di sostanze chimiche, ed in modo particolare gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), possano agire sul sistema endocrino, danneggiando la salute. Il dott. Maged Younes del Programma OMS per la promozione della sicurezza chimica, ha affermato: “Su 11.000.000 di sostanze chimiche conosciute, circa 100.000 sono prodotte su scala industriale, con un incremento di 1.000-2.000 nuove unità annue. Gli esseri umani vengono a contatto con molte di queste sostanze, che sono presenti come inquinanti nel cibo, nell’ambiente e in prodotti commerciali. Esse possono interferire con gli ormoni a vari livelli, come la sintesi, l’immagazzinamento, il rilascio, il trasporto. Gli organi bersaglio includono l’apparato riproduttivo maschile e femminile, il sistema nervoso centrale, la ghiandola tiroide e il sistema immunitario. Esistono indicazioni che l’esposizione a queste sostanze possa alterare lo sviluppo fisico e mentale dei bambini, vi è da attendersi, infatti, che i disordini ormonali siano più accentuati nell’organismo in accrescimento anche in relazione alla dose kg/bw, spesso con effetti permanenti. Stabilire le dosi-effetto delle singole sostanze è un’impresa che si presenta ardua, perché solitamente gli individui sono esposti ad una complicata miscela delle stesse. Per alcune di queste sostanze la dose in grado di interferire con il sistema immunitario, sembra essere 50-100 volte inferiore a quella necessaria ad indurre il cancro.” (87). L’Ente per la Protezione Ambientale Statunitense (USEPA), ha affermato che in era preindustriale i livelli ambientali di tali inquinanti erano circa l’1% di quelli attuali (80). Più recentemente nuove sostanze organiche in grado di interagire attraverso gli stessi meccanismi fisiopatologici, si sono aggiunte a quelle sopracitate. Le sostanze chimiche che interferiscono con le funzioni endocrine sono molte e pertanto una definizione più attuale, che risulta essere omnicomprensiva è quella di distruttori (o interferenti) ormonali: Endocrine Disruptors (EDCs). Gli EDCs comprendono molteplici sostanze: pesticidi, antiparassitari (Monesin), additivi nell’industria plastica come i Polibromodifenileteri (PBDE) usati come solventi e ritardanti di fiamma (presenti in moquette, tappezzerie, abbigliamento per bambini), piretroidi soprattutto del gruppo della Permetrina (Clorpyrifos), Fungicidi (Triazoli, Imidazoli), Ftalati di cui il più comune è il Dietil-esil-ftalato (usati come plasticizzanti per dare flessibilità al PVC e presenti in pellicole per alimenti, giocattoli, cosmetici come saponi e shampoo, ma anche in molti presidi medici come sistemi per intubazione tracheale e set di infusione di farmaci). Su queste sostanze generalmente considerate poco tossiche all’atto della commercializzazione, si vanno tuttavia moltiplicando gli studi, relativamente alle loro interferenze endocrine. In proposito, Lorenzo Tomatis ha recentemente affermato riguardo al Progetto REACH (Registration, Evaluation and Authorisation of Chemicals), della Comunità Europea: “ Normalmente, si tende ad assumere che le sostanze più comuni con cui entriamo in contatto, presenti nei nostri edifici, nei vestiti, nei giocattoli dei bambini, siano state tutte testate per acquisire dati certi sulla loro eventuale tossicità. E invece non è affatto così. Il Parlamento Europeo aveva lanciato questo progetto per obbligare le industrie (per la prima volta nella storia) a testare a loro spese 30.000 sostanze di uso comune e a fornire i dati. Ebbene, il REACH è stato attaccato in modo così violento dalle lobby dell’industria europea e americana che da 30.000 sostanze, si è scesi a 500 e poi a 50. Sarà tanto se si riuscirà a testarne una decina, perché ormai il progetto è compromesso”. Ebbene queste sostanze chimiche sono presenti ubiquitariamente in gran parte nei materiali sintetici quotidianamente utilizzati, che al termine del loro ciclo vitale divengono un’indispensabile combustibile per inceneritori.

Memorie Storiche

Il disastro di Seveso (1976) e quello di Yu-Cheng (Taiwan 1978-79), nonché i dati su esposizioni professionali di popolazioni negli Stati Uniti, Olanda e Germania, hanno reso evidenti da tempo le patologie provocate da questa serie di composti organici. Il mondo scientifico ha dovuto però attendere ventuno anni affinché il più noto di questi composti, la Tetraclorodibenzodiossina (2-3-7-8 TCDD), fosse riconosciuto come cancerogeno per l’uomo. Nel 1997, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), ha inserito la TCDD fra le sostanze cancerogene per l’uomo (classe I IARC). Questa evidenza è stata in seguito confermata e rafforzata (77). Di conseguenza l’OMS, ha ridotto la dose massima tollerata da 10pg/TEQ/kg/bw/day a 1-4pg/TEQ/kg/bw/day, la UE 2pg/TEQ/kg/bw/day e l’USEPA a 0,06pg/TEQ/kg/bw/day. Siccome le diossine (75 isomeri) ed i benzofurani (135 isomeri) sono sempre in combinazione fra loro, è stato assegnato ad ognuno un fattore di tossicità equivalente (TEQ), paragonato a quello della TCDD, che è fino a 1.000 volte più tossica di altri isomeri. Alcuni altri congeneri, sono stati riconosciuti capaci di provocare interferenza con i meccanismi ormonali, a dosi 100 volte inferiori a quelle cancerogene (85). E’ intuitivo come valutare i danni di un’ esposizione di breve durata ad alte emissioni, come nei disastri storici, caratterizzata dalle tipiche lesioni cutanee (cloracne) e da quelle epatiche sia ben altra cosa che valutare quelli che si verificano viceversa per bassissime dosi, ma per lunghissimi periodi di tempo, anche se questo tipo di esposizione cronica, viene da alcuni ritenuta essere la più pericolosa (76, 86). Nello studio di coorte sulla popolazione di Seveso, condotto dalla Clinica del lavoro dell’università di Milano, con follow-up dal 1977 al 1997, è stato evidenziato come queste sostanze, siano associate a: linfomi, sarcomi, tumori dell’apparato digerente, tumori del fegato e delle vie biliari, tumori polmonari, tumori della tiroide (8, 9, 21, 49, 50, 61) Ridotto peso corporeo alla nascita, riduzione della circonferenza cranica, ridotta performance immunitaria, ridotta capacità uditiva sono alterazioni evidenziate dagli studi, non solo sulla popolazione di Yu-Cheng, ma anche in quelle che hanno consumato per anni pesce contaminato, come gli abitanti del lago Michigan, la popolazione svedese del mar Baltico e la popolazione inuit del Canada (22). Nel 1892 venne scavato un canale, il “Love Canal”, che avrebbe dovuto congiungere il tratto superiore con il tratto inferiore del fiume Niagara. Il progetto venne in seguito abbandonato, ma nel 1920 il canale fu utilizzato dalla Hooker Chemicals Corporation, dalla città di Niagara e dall’US Army, come discarica di prodotti chimici (PCBs). In seguito alla vendita del terreno, vi furono edificate sopra, dal 1955 al 1978, una scuola e abitazioni per 239 famiglie. Si resero evidenti in seguito, un grave stato d’inquinamento dell’aria e del suolo, nonché problemi riproduttivi nella popolazione femminile. Il 2 agosto 1978 il New York State Department of Health (NYSDOH) promulgò un’ordinanza evacuativa del luogo. Nel periodo gennaio 1979-febbraio 1980, su 22 gravidanze nelle donne del luogo, 18 terminarono con un aborto, con la nascita di un feto morto o con il parto di un neonato con difetti congeniti (34).


Inceneritori e EDCs

La massiccia produzione di Clorofenolo e dei suoi derivati a partire dagli anni ’50, base chimica per pesticidi e diserbanti di larghissimo uso a livello mondiale, è stata riconosciuta dall’USEPA nel 1987come la più importante fonte di emissione di diossine negli USA (81). Ancora oggi una delle maggiori sorgenti di diossine a livello mondiale è la catena di produzione del cloruro di Polivinile (PVC). Nel 1996 sono state prodotte nel mondo, ventidue milioni di tonnellate di PVC. Ciò ha causato la liberazione di 30gr. di diossine TEQ nell’aria, 1kg.TEQ nell’acqua, 12kg.TEQ nel suolo (66). Il PVC viene utilizzato in una vastissima gamma di prodotti: imballaggi, giocattoli, forniture ospedaliere, oggetti per la scuola e per l’ufficio, componenti interni per autoveicoli, rivestimenti di cavi elettrici, tubazioni, articoli per la casa, materiali da costruzione. Dopo aver esaurito il loro ciclo vitale, questi prodotti divengono rifiuti e spesso sono bruciati in inceneritori o in mucchi di rifiuti all’aperto.
Quest’ultima soluzione, purtroppo non è diffusa solo nei paesi sottosviluppati, ma anche quelli più industrializzati. Basti pensare che l’USEPA, ha stimato che circa 21 milioni di Americani, bruciano ogni anno, 8 milioni di metri cubi di rifiuti in mucchi o in bidoni nel loro giardino.
Gli inceneritori di RSU sono la più importante fonte di emissione di diossine nell’aria pari al 23%. (66, 67). In molte nazioni: Canada, Belgio, Francia, UK ed Italia, il contributo di sostanze clorate agli inceneritori è fornito per il 67% dal PVC (24, 27, 29). Uno studio del 1995, identificò oltre 200 composti chimici organici nelle emissioni di un inceneritore (78). Inoltre le tecniche standard di dosaggio delle diossine sui fumi, secondo recenti studi europei, sottostimano le stesse con un fattore del 30-50% (20). A Liberec (CZ) i livelli di diossine dal 1998 al 2001 sono passati da 40pgr/m3 a 80-110 pgr/m3 dopo l'entrata in funzione dell'inceneritore (44) (tab 2).


Tabella 2: Livelli di diossine a Liberec prima e dopo l’entrata in funzione dell’inceneritore
Jindrich P.ott 2002 in www.ipen.ech.cz


In accordo con questi dati, già nel 1989 e 1990 venne proibito il consumo di latte e latticini, contenenti altissime dosi di TCDD, nella zona di Zaandam e Alkmaar (NL). Dopo la chiusura dei 4 inceneritori responsabili dell’inquinamento, i valori di TCDD testati sui grassi, presenti nel latte, tornarono alla normalita’ (51). Molto recentemente una disposizione legislativa (art 21, D.lgs 228 18 maggio 2001 : “Orientamento e modernizzazione del settore agricolo”) ha definito non idonee ad ospitare inceneritori le zone agricole caratterizzate per qualità e tipicità dei prodotti. Non deve stupire, quindi, che le concentrazioni di diossina nel latte materno, in paesi come Belgio e Olanda (che hanno scelto di incenerire oltre il 50% dei loro rifiuti negli anni precedenti), abbiano superato di cinque volte quelle presenti nel latte vaccino, con una media variabile da 11pg/g/fat a 26,8pg/g/fat (per la legislazione francese il quantitativo di diossine nel latte vaccino, deve essere <1pg/g/fat, per quella belga <5pg, per quella olandese <6pg) tanto che, paradossalmente, se questo fosse stato un prodotto commerciale, avrebbe dovuto essere immediatamente ritirato dal consumo (52).
Tra gli inquinanti emessi numerosi i composti cancerogeni certi: Arsenico, Berillio, Cadmio, Cromo, Nickel, Benzene, PCB, Diossine, Furani, (classe I IARC) (31, 5). Diversi i cancerogeni probabili: Tetracloruro di carbonio, Tricloroetilene, Clorofenoli (classe 2a IARC), e quelli possibili: Mercurio, Cloroformio, Piombo (classe 2b IARC) (tab3).


Tabella 3: Classificazione di alcuni inquinanti emessi da inceneritori e loro effetti sanitari

Elenco Composti Classi di Inquinanti Evidenza di Cancerogenicita nell'uomo Classe IARC Sede o Tipo di Tumore indotto
Arsenico Metalli e metalli pesanti Sufficiente (Cancerogeno Certo) 1 Pelle, Polmone, Fegato, Discrasie ematiche
Benzene Sostanze policicliche aromatiche Sufficiente (Cancerogeno Certo) 1 Leucemia non linfocitica
Berillio Metalli e metalli pesanti Sufficiente (Cancerogeno Certo) 1 Polmone
Cadmio Metalli e metalli pesanti Sufficiente (Cancerogeno Certo) 1 Apparato Genitourinario, Polmone
Mercurio Metalli e metalli pesanti Inadeguata (Cancerogeno Possibile) 2b Polmone, Prostata, Fegato, Esofago, Sistema nervoso
Tetracloruro di Carbonio Sostanze policicliche aromatiche Limitata (Cancerogeno Probabile) 2a Fegato, Leucemie, Polmone
Cloroformio Sostanze Policicliche aromatiche Inadeguata (Cancerogeno Possibile) 2b Vescica, Retto Rene Cervello, Linf orni
Clorofenoli Composti organici Limitata (Cancerogeno Probabile) 2a Sarcomi, Linfoma Hodgkin enonHodgkin
Cromo Metalli e metalli pesanti Sufficiente (Cancerogeno Certo) 1 Polmone
Piombo Metalli e metalli pesanti Inadeguata (Cancerogeno Possibile) 2b Apparato digerente, Polmone, Pelle, Rene
Nickel Metalli e metalli pesanti Sufficiente (Cancerogeno Certo) 1 Polmone
TCDD Diossine Sufficiente (Cancerogeno Certo) 1 Sarcomi, Linfomi, Tiroide
Tricloroetilene Sostanze policicliche aromatiche Limitata (Cancerogeno Probabile) 2a Fegato, Linfoma non Hodgkin
Balestreri F., Gennaro V., Il Medico per l’Ambiente 2002


In particolare Pb e Hg hanno azione negativa sul sistema immunitario, inducendo apoptosi nei macrofagi. Significativamente aumentato il rischio di neoplasie a livello di: polmone, cute, fegato, vescica, rene, colon, prostata, sistema emopoietico (31,5, 40). Numerosi studi condotti fra il 1987 e il 2003 sono stati oggetto di una recente review: 32 su popolazioni residenti in aree limitrofe agli impianti, 11 su lavoratori addetti, 2 su popolazioni residenti e lavoratori. In buona parte di questi studi è stata riscontrata una associazione statisticamente significativa con tumori polmonari, linfomi non Hodgkin, sarcomi dei tessuti molli e neoplasie infantili. Incerti i dati sulle malformazioni congenite. Diversi lavori hanno ricercato la presenza di biomarcatori (PCB, tioeteri, Hg) in campioni biologici dei soggetti ritenuti a rischio (sangue, urine, capelli), riscontrando in qualche caso aumenti significativi degli inquinanti rispetto ai controlli (31). Uno studio finlandese ha evidenziato come la sovraesposizione a diossine e furani, in bambini, abbia causato difetti di demineralizzazione nei denti, tanto che tali riscontri odontoiatrici, sono stati proposti come biomarcatori di un’anormale accumulo di diossine e furani (1).
Nella popolazione residente in prossimità del Petrolchimico di Mantova, l’indagine epidemiologica condotta dagli autori, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), ha evidenziato, un significativo incremento di sarcomi, circa 32 casi, forse imputabili all’inceneritore di rifiuti tossico nocivi, attivo durante i 20 anni precedenti (19). Sulla vicenda, la Procura della Repubblica di Mantova ha aperto un’inchiesta nel febbraio 2000. Risultati analoghi sull’incidenza di sarcomi, sono riportati in indagini epidemiologiche francesi, sugli inceneritori di Briancòn (83). Non meno allarmanti, appaiono i dati forniti da Biggeri, sull’inceneritore di Trieste e l’aumentata incidenza di tumori polmonari nei residenti (10).
Non sono solamente le proprietà cancerogenetiche a destare preoccupazione nel mondo scientifico, ma anche la capacità di interferenze ormonali che gli EDCs hanno dimostrato di possedere, e che solo da relativamente pochi anni sono state evidenziate, peraltro in modo assai curioso. Lou Guillette, un ricercatore incaricato di indagare sui problemi riproduttivi degli alligatori nel lake Apopka (Florida), ha messo in relazione significativa i disordini ormonali degli animali, con uno sversamento accidentale di pesticidi nelle acque del lago. Gli alligatori presentavano atrofia testicolare e un’anormale riduzione della lunghezza del pene fino ad 1/3 dei normali standard (36). Alterazioni simili sono, state riscontrate in alligatori di altri laghi, che non avevano subito analoghi incidenti rilevanti, ciò a testimonianza del degrado chimico ambientale diffuso. Gli studi si sono moltiplicati sugli animali e sull’uomo. Gli inquinanti emessi da alcuni inceneritori in Scozia e Irlanda, hanno causato un aumento dei parti gemellari, sia nel bestiame, sia nell’uomo, negli anni fra il 1975 e il 1983 (54). Questo particolare effetto, è dovuto alla proprietà degli EDCs di essere stereochimicamente estrogeno simili e pertanto di essere in grado di interferire con i recettori specifici a livello cellulare, in modo da indurre o bloccare la sintesi ormonale. Nella coorte della popolazione maschile di Seveso, che all’epoca dell’incidente aveva un’età inferiore a 19 anni, è stata evidenziata nella prole una significativa riduzione del rapporto maschi-femine (58). L’aumento dei casi di ipospadia, la cui incidenza è all’incirca raddoppiata dal 1970 al 1990, è stato posto in relazione con gli EDCs. Tale effetto è stato sperimentalmente riprodotto in laboratorio con antifungini clorurati comunemente usati su frutta e vegetali (60). I tumori del testicolo in età inferiore ai 34 anni, in aumento nell’ultimo decennio sono sospettati di correlazione indiretta con questo tipo d’inquinamento, essendo nota la loro associazione con il criptorchidismo, patologia influenzata dall’equilibrio ormonale già nella fase fetale dello sviluppo. L’ipertrofia prostatica benigna e l’endometriosi, sono malattie possibilmente associate a questi inquinanti ubiquitari (88). A tale riguardo destano molta preoccupazione gli studi epidemiologici attribuiscono agli EDCs la perdita del 50% del patrimonio di spermatozoi nella popolazione maschile degli USA e di numerosi Paesi Europei (72, 76,77, 80). E’ noto, dagli studi di popolazione ecologici come la perdita di performance riproduttiva, sia il primo passo verso l’estinzione di una specie vivente. L’influenza negativa che tali inquinanti esercitano sulla tiroide, essendo l’ormone tiroideo di fondamentale importanza per lo sviluppo e la funzionalità del sistema nervoso, spiega il diminuito quoziente d’intelligenza, la riduzione della memoria a breve e lungo termine e la ridotta capacità d’apprendimento che hanno manifestato bambini di 11 anni, le cui madri si sono nutrite durante i sei anni precedenti la gravidanza, con pesce contaminato del lago Michigan (43).
Vie di assorbimento e tossicodinamica

Escludendo le esposizioni professionali, l’assunzione di PCB e diossine nell’uomo avviene per il 95% attraverso la catena alimentare. Queste sostanze fortemente liposolubili, si accumulano nel tessuto adiposo, quindi in cibi quali: carne, pesce, latte, latticini. Il loro bioaccumulo si magnifica risalendo la catena alimentare ai livelli superiori (l’uomo è l’animale al vertice della catena), grazie alla loro lunga emivita, circa 9anni, nell’essere vivente e alla loro lunghissima persistenza nei suoli (tab 4).

Tabella 4: Tempi di emivita delle diossine in vari substrati

Tempi di Persistenza delle Diossine
Emivita nel tessuto adiposo umano 7-12 anni
Emivita sulla superficie del suolo 9-15 anni
Emivita sotto la superficie del suolo 25-100 anni
Modificato da Paustenbach et. al. 1992


Altri EDCs penetrano nell’organismo anche per via inalatoria e per assorbimento cutaneo. Il contenuto medio di diossine nell’essere umano, ad esempio è attualmente attorno ai 2-3 ng/kg/fat (81). Gli effetti avversi sia della TCDD che è probabilmente la sostanza più tossica esistente sul pianeta (58), che degli altri distruttori ormonali, sembrano mediati dai recettori per l’enzima Aril-idrocarbonidrossilasi (AHI) con funzione di fattore di trascrizione, e azione di attivazione/soppressione sui geni CYP1a1 e CYP1a2. La trascrizione di numerosi geni in animali da laboratorio e nell’uomo è risultata alterata sia nel senso della soppressione che della attivazione, con conseguente turbamento di molteplici attività cellulari, quali quella della catena dei citocromi. Il metabolismo delle sostanze tossiche è determinato, infatti, su base genetica. Molto importante a questo riguardo il ruolo del polimorfismo genetico, dei sistemi detossificanti del citocromo P450, delle aromatasi (56). La sintesi proteica rappresenta un processo fondamentale per il corretto funzionamento cellulare. Recenti studi di biologia molecolare e tossicologia hanno identificato ulteriori frazioni proteiche coinvolte in questo complesso sistema. Gli chaperone sono un gruppo di proteine ubiquitarie ed eterogenee la maggior parte delle quali indotte da shock termico come le heat-shock proteins (HSPS). Molti chaperone sono dotati di attività ATPasica necessaria per esplicare la loro attività biologica. La loro funzione fondamentale è quella di rinaturare proteine alterate da qualsiasi evento cellulare (alterazione del pH, errori di trascrizione, ecc.). Sono anche costituenti del recettore arilico (AhR), coinvolto nel metabolismo di molti xenobiotici. Le più importanti classi di chaperone eucariotici e batterici sono Hsp60 (le chaperonine), Hsp70, Hsp90 e Hsps100 che svolgono funzioni vitali in condizioni fisiologiche e ricoprono un ruolo fondamentale durante ed in seguito ad uno stress, compreso quello chimico (17, 72, 55, 8). Per quanto concerne i meccanismi di neurotossicità diretta, PCB e diossine possono agire direttamente su neuroni e glia, sempre attraverso il recettore arilico. Seguono alterazioni dell’omeostasi del Ca2+ e della sequenza di eventi intracellulari Ca-dipendenti. Riguardo alle interferenze con funzioni endocrine quale lo sviluppo della tiroide, PCB, diossine ed ormoni tiroidei (T3-T4) hanno struttura stereochimica simile. Si legano pertanto sia al recettore AhR che ai recettori per gli ormoni tiroidei, entrando in competizione per il sito di legame con le serum carrier proteins per gli ormoni tiroidei. L’esposizione di ratte gravide al PCB Aroclor 1254 induce nella progenie una marcata riduzione dei livelli di T4 sia nel plasma che a livello cerebrale. Il T4 ha un ruolo determinante nella maturazione del SNC, e una riduzione dei livelli circolanti e tissutali di questo ormone in fasi critiche dello sviluppo fetale e neonatale può avere effetti a lungo termine sullo sviluppo cognitivo e sul comportamento dell’individuo.(15, 89, 79). La maggior parte dgli ECDs comprese le diossine sono in grado di superare il filtro placentare e sono stati ritrovati nel liquido amniotico. I maggiori rischi per malformazioni e danni al sistema nervoso si hanno per esposizione della madre nelle prime 16 settimane di gestazione. I neonati allattati al seno sono nel mondo animale i soggetti più esposti alla contaminazione da diossine poiché al vertice massimo della catena alimentare. La madre secerne dal 20 all’80% delle diossine accumulate nel latte e la contaminazione è tanto più intensa, quanto più si prolunga l’allattamento. Un neonato allattato al seno per un anno, riceve dal latte materno circa il 10% della dose cumulativa di TCDD che assume un individuo adulto in cinquant’anni di vita (74, 75). Ciò non deve far giungere alla conclusione che l’allattamento al seno debba essere bandito, poiché attraverso di esso il lattante, assume importanti nutrienti ed anticorpi dalla madre. In ogni caso, per alti livelli di diossine nella madre sarebbe già stato esposto durante lo sviluppo.

Discussione

Dai dati raccolti negli ultimi anni sulla tossicità degli EDCs, è evidente come i rischi per la salute siano stati, e siano ancora oggi, ampiamente sottovalutati. La loro sottostima, è in parte dovuta alla difficoltà di organizzare studi epidemiologici di coorte, che implicano impiego di risorse umane, economiche, e lunghissimi periodi di tempo, ed in parte ad una cronica inadeguatezza quali-quantitativa dei dati emissione-esposizione. Gli scarsissimi studi di coorte disponibili, infatti, indagano forti esposizioni per brevi periodi di tempo, è invece importante stabilire, in sanità pubblica, quanto l’esposizione quotidiana a bassissime dosi di xenobiotici, che inizia al momento del concepimento e si protrae per tutta la vita, incida sulla cancerogenesi e sui sistemi immunitario ed endocrino; in particolare sulle capacità riproduttive.
Per verificare la tossicità dei contaminanti in vivo, su animali da laboratorio, il test più efficace è quello a più generazioni per coprire l’intero periodo che va da prima dell’accoppiamento, al concepimento, alla gravidanza, all’allattamento, allo sviluppo della progenie dopo lo svezzamento fino alla maturità sessuale. Vengono verificate la sopravvivenza delle nidiate, la crescita, lo sviluppo, la performance riproduttiva. Il topo ha un ciclo riproduttivo che permette di condurre questa analisi temporale in tempi relativamente brevi (tab. 5).


Tabella 5: Raffronto fra le età equivalenti fra topo e specie umana

Età equivalenti fra topo ed essere umano
Topo 1 mese 6 mesi 13 mesi 24 mesi
Uomo 12 anni 30 anni 45 anni 70 anni
Flurkey K, Currer J.M. : BEST Practice & Research vol. 18, n. 3 pp. 407-21 2004

Tuttavia sono molte le differenze fra l’animale da laboratorio e l’essere umano che impongono l’introduzione di fattori di correzione e quindi di incertezza, generalmente empirici.
Visti i molteplici fattori ambientali ed endogeni che possono influenzare la tossicocinetica e la tossicodinamica degli xenobiotici (tab. 6), i quesiti da porsi sono numerosi e complessi.
Sull’aspetto quantitativo: quali sono i livelli di esposizione cui si osserva un dato effetto. In particolare sono da valutare il LOEL (Lowest Observed Effect Level), cioè il più basso livello di dose-esposizione in cui è osservabile un effetto. Il NOEL (No Observed Effect Level) cioè il più alto livello di dose-esposizione in cui vi è assenza di effetti osservabili, generalmente espressi come mg/kg/die. Tali parametri sono indispensabili per fissare la dose di riferimento (RfD), vale a dire il livello di esposizione senza effetti osservabili sulla salute, e di conseguenza calcolare la dose massima giornaliera tollerabile (TDI) nei limiti delle conoscenze disponibili. Sull’ esposizione individuale sono da considerare : le vie di assorbimento (inalatoria, cutanea, orale..), gli scenari di assorbimento (lavoro, ambiente, casa..), quale sostanza viene assorbita (es: possono essere importanti i prodotti di degradazione ambientale, il metabolita che si forma nella via di degradazione cellulare può essere meno, ma in qualche caso anche più tossico dell’inquinante originario).





Tabella 6: Fattori influenzanti la diversa tossicità nell’organismo umano


Ed ancora qual’è l’esposizione interna, cioè la dose reale dopo che la sostanza è stata metabolizzata. Determinante risulta essere il ruolo delle abitudini di vita, dello stato sociale, e dell’esposizione attraverso la dieta. Non bisogna dimenticare che i parametri considerati per fissare il minimo livello di rischio (MRL), circa due ordini di grandezza inferiori alla dose-risposta su animali da esperimento, dipendono da: conoscenze attuali, limiti strumentali di rilevazione, esigenze produttive. In ogni caso non possono tenere conto: della variabilità individuale nell’assunzione del tossico, del costante accumulo per tutta l’esistenza, degli innumerovoli sinergismi con altre sostanze, della variabilità genetica individuale. E’ evidente per quanto esposto, quanto le nostre conoscenze in proposito siano ancora estremamente carenti e dal punto di vista etico, il Principio di Precauzione debba guidare il nostro atteggiamento scientifico.
L’eterogenicità dei materiali bruciati negli inceneritori, è causa di reazioni chimico-fisiche ignote ed imprevedibili. Il 90% delle sostanze emesse è a tutt’oggi sconosciuto (85). Oltre a quelle conosciute citate in precedenza (diossine, furani, PBC, As, Be, Cd, Cr, Cu, Pb, Ni, Hg, HCN, HCL, HCF, HBR, Benzene, IPA, Cloroformio, Clorofenoli, Tetracloruro di Carbonio, Tricloroetilene, CO, SO2, NOx,), vengono emesse annualmente tonnellate di polveri fini. Nell’ultimo decennio sono saliti alla ribalta delle cronache gli effetti sanitari dei PM10, PM2,5 e PM1 sulla salute umana, evidenziati da centinaia di studi internazionali sulla mortalità e sulla morbosità a breve termine e da numerosi studi di coorte su quelle a lungo termine (63). Dati confermati recentemente dalla metanalisi italiana degli studi sugli effetti a breve termine dell’inquinamento atmosferico MISA I e II (11, 12), e dal gruppo collaborativo SIDRIA II (33). Il particolato fine ha origine secondaria per circa il 60% da aggregazione atmosferica di vari inquinanti. E’ noto il notevole contributo degli NOx alla formazione del PM secondario (tab. 7).


Tab 7: Relazione tra PM10 e NO2

Villa M. et. al.: Atti IX Conferenza di Sanità pubblica, Parma 13-15 ott.2005

Per dare un termine raffronto, l’emissione annua di NOx da parte di una centrale a turbogas (impianto che bruciando solo metano è potenzialmente meno inquinante di un inceneritore) a potenza nominale di 254 MW che emetta a valori limite di 57mg/Nm3 (Direttiva 2001/80/CE), è equivalente all’inquinamento prodotto da 160.000 vetture di media cilindrata a benzina verde (57) Un’ indagine epidemiologica condotta recentemente a Cremona per il periodo 2001-2003, negli ultra sessantacinquenni (dove è presente un inceneritore da 390 ton/die, a 2,5km dal centro abitato), ha evidenziato un eccesso di mortalità per tutte le cause associato ad un incremento di PM10 di 10 µg/m3 pari a 1,30% (IC 95% = 0,40%-2,21%), per cause respiratorie 5,45% (IC 95% = 2,26%-8,75%) per cause cardio-cerebrovascolari 1.35% (IC 95% = 0.03% – 2.68%). La relazione tra PM10 e mortalità varia in relazione alla temperatura percepita ed all’area geografica considerata. I valori di PM10 registrati dalle centraline sono stati simili, se non superiori, a quelli delle grandi città del nord Italia ed i dati sull’ incremento di mortalità nel cremonese non differiscono sostanzialmente da quella riscontrata in MISA II nelle 15 maggiori città italiane e da quelli diffusi nel maggio 2005 dall’OMS (84).Villa Questo aspetto sanitario del problema non è affatto secondario, dal momento che il livello basale di PM nelle nostre città non tende a diminuire, mentre la normativa UE prevede per l’anno 2010 una media annua non superiore a 20μgr/m3, cui sarà necessario adeguarsi.
Gli studi che valutano il risparmio di gas serra mediante il recupero energetico da RSU (69), Ribaudo non tengono conto che questa è una analisi del tutto ipotetica in quanto, data la sempre maggior richiesta di produzione di energia, queste emissioni non andranno in sostituzione, bensì a sommarsi a quelle degli impianti esistenti. Analogamente non viene considerato il considerevole impatto del traffico pesante nella zona circostante l’inceneritore per il conferimento dei rifiuti.
L’utilizzo di campionatori in continuo ha dimostrato come nel ciclo di funzionamento degli inceneritori, problemi tecnici di funzionamento, tipologia e caratteristiche degli RSU conferiti (temperatura, umidità, ecc.), possono causare picchi di emissioni improvvisi, che superano di gran lunga i parametri consentiti dalla legge Europea. Le temperature >800° in grado di distruggere diossine e furani, non sono uniformi nelle fasi di accensione spegnimento del forno, comunque è dibattuto il fatto che si possano riformare in fase di raffreddamento dei fumi.
La regione Vallone del Belgio ha adottato un sistema di monitoraggio a campionamento continuativo. In tale paese peraltro, negli anni passati vi è stata la più alta emissione europea di diossine pro-capite (da tutte le fonti) cioè 45,2mgr. (Italia: 13,2mgr.), anche in ragione del fatto che negli ultimi dieci anni, questo paese ha scelto di incenerire il 54% dei suoi RSU. L’utilizzo dei campionatori di nuova concezione, ha dimostrato come le metodiche di controllo tradizionali, sottostimino ampiamente la quantità di diossine emesse dal camino, anche di 40 volte. (7, 59, 71). Grazie a questo accorgimento attualmente i livelli di emissione sono fortemente diminuiti.
Nella stima dei danni causati dagli inceneritori stanno acquisendo popolarità negli studi di impatto ambientale, l’associazione di una valutazione monetaria delle esternalità ambientali e di una analisi del rischio. I primi traducono in unità monetarie i danni ai manufatti e alle produzioni, i secondi i danni alla salute dei cittadini. Uno studio sull’inceneritore di Trezzo d’Adda (35), ha utilizzato per il calcolo delle esternalità la metodologia sviluppata nel progetto ExternE (25). Il software Ecosense utilizzato in tale metodologia considera solo alcuni inquinanti tradizionali (SO2, NOx, CO e Polveri), non vengono considerati i microinquinanti. Ciò costituisce in partenza un grave pregiudizio. Per il danno da polveri viene considerata solo la mortalità cronica e acuta, ciò sottostima i danni che andrebbero calcolati invece sulla mortalità naturale. Per quanto riguarda il l’analisi sul rischio dei microinquinanti viene considerato solamente il danno cumulativo da cadmio e diossine, calcolato come rischio di sviluppare una neoplasia pari a 10-8 . Questa analisi che è sicuramente riduttiva, per stessa ammissione degli Autori, ci da lo spunto per suggerire la necessità di affiancare alla valutazione d’impatto ambientale (VIA) una valutazione di impatto sanitario (VIS), condotta da esperti del settore sanitario. E’ indispensabile che i medici rivendichino il ruolo che spetta loro per competenza.

Conclusioni

Una sola determinazione annua, di otto ore, come attualmente prevede il decreto Ronchi, appare assolutamente inadeguata. La normativa esistente, non indica con chiarezza chi deve controllare il funzionamento dell’impianto. Il passaggio di competenze in materia dalle ASL alle ARPA, ha lasciato un vuoto istituzionale non ancora colmato. Le ARPA, infatti, non possiedono né i mezzi, né i finanziamenti per eseguire i controlli delle emissioni a camino, che dovrebbero essere di loro competenza. Le amministrazioni Provinciali, cui spetterebbe il controllo sui terreni circostanti gli impianti, non risulta che li eseguano con regolarità per gli stessi motivi. Gli unici dati a disposizione, sono quelli di qualche determinazione annua di poche ore, forniti con autocertificazione dai gestori dell’impianto. Tali dati sono rilevati e gestiti, con prelievi programmati, nelle condizioni ottimali di funzionamento da laboratori privati di fiducia dell’azienda gestrice dell’inceneritore. Questo sistema di rilevazione dati non è accettabile, nè dal punto di vista scientifico nè da quello politico. La gestione economica-privatistica degli impianti non può e non deve essere subordinata ai superiori interessi di sanità pubblica. Possiamo affermare che, attualmente, gli inceneritori di RSU nel nostro Paese, sono impianti potenzialmente pericolosi, non controllati in modo qualitativo, quantitativo e continuativo. Attualmente vi sono in corso in Italia progetti per la costruzione e l’ampliamento di numerosi impianti d’incenerimento. Senza una revisione urgente della normativa non sarà possibile quantificare il potenziale grave rischio sanitario per la salute pubblica. Gli inceneritori riducono, la massa dei rifiuti bruciati del 60-70%. Da una tonnellata di rifiuti, residuano 300kg di ceneri tossico-nocive (con concentrazione degli inquinanti a dosi 100 volte superiori). I rimanenti 700kg fuoriescono dal camino, e vengono dispersi nell’ambiente, in modo incontrollato. L’ISDE ha già adottato due risoluzioni sull’eliminazione dei POPs e sull’eliminazione del PVC dai prodotti ospedalieri, in linea con quanto proposto dall’OMS e dall’UNEP. Il trattamento dei rifiuti con tecnologie quali l’incenerimento o la gassificazione con recupero energetico devono essere riservati esclusivamente per rifiuti pericolosi non altrimenti riciclabili. Il Comitato Scientifico Internazionale dell’ISDE, si dichiara contrario alla costruzione di nuovi impianti di incenerimento di RSU, a favore di una programmazione per: la Riduzione della produzione , il Risparmio energetico, il Riuso, la Riparazione, la Raccolta Differenziata e il Riciclaggio dei rifiuti stessi, il compostaggio dei rifiuti organici (35% degli RSU). Solo dopo che tutte le soluzioni precedenti siano state correttamente applicate, si può pensare di adottare una tecnologia di trattamento della frazione non riciclabile dei rifiuti, con recupero energetico. Si richiede al Ministero della Sanità ed al Ministero dell’Ambiente che venga modificata la normativa vigente, (D.M. 19 novembre 1997 n°503-Decreto Ronchi), affinché vengano adottati a livello nazionale, per tutti gli inceneritori esistenti, sistemi di campionamento in continuo per i microinquinanti al camino, collegati con le ARPA locali. Di campagne periodiche di monitoraggio della presenza di EDCs nei terreni e nelle matrici biologiche sulla popolazione a cura dei laboratori di sanità pubblica, in modo che possa esservi un efficace controllo sui rischi sanitari, da parte degli organismi istituzionali.

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Federico Balestreri, Referente ISDE Italia - Cremona federicobalestreri@tin.it